Siamo tutti, più o meno, debitori verso qualcuno.
Lo spunto per questo lavoro nasce non tanto dalle immagini all’infrarosso che altri fotografi hanno realizzato in precedenza, ma dagli stimoli ricevuti dalle opere dello scultore americano George Segal. I suoi lavori mi hanno sempre colpito e affascinato: creando calchi in gesso di persone comuni e collocandoli in situazioni di assoluta quotidianità, con l’inserimento di pochi oggetti essenziali alla ricostruzione della scena, Segal riesce a trasmettere il carattere di alienazione e di incomunicabilità che proviamo nel mondo moderno.
Le medesime tensioni che si ritrovano nei quadri di Edward Hopper che, per la scarna quantità di elementi che compongono i suoi quadri e per la “modernità” di elementi inseriti, potrebbero, a loro volta, avere influenzato lo stesso Segal.
Queste immagini, eseguite tra il 1992 ed il 1995, non vogliono perciò assolutamente far parte di quegli effetti speciali di cui siamo circondati, ma convogliare la visione di chi le osserva verso una “lettura speciale” che deve andare ben al di là del primo impatto legato alla loro diversità estetica.
La pellicola sensibile alla radiazione infrarossa, infatti, ci restituisce valori tonali differenti, ci spiazza nella sua riproduzione del reale anche in confronto al tradizionale bianco e nero che, già di per sé, non risulta certo una rappresentazione oggettiva del mondo che riproduce ma che, per cultura e per abitudine, abbiamo ormai assimilato alla norma.
Le persone e i paesaggi si trasformano: è come se venissero, ognuno per proprio conto, ingessati in una quotidianità extra-ordinaria dalla quale non si riesce ad uscire. Al tempo stesso una apparente spiritualità emana da ogni cosa colpita dalla luce e la pellicola ce la ripresenta sotto forma di un leggero alone che circonda il tutto.
È forse questa la potenzialità che dovremo liberare per uscire, almeno come persone, dal banale del quotidiano: smettere di pensare che siamo, ognuno per se stesso, la cosa più importante al mondo.